SOCIETA’ CANCELLATA E DEBITI FISCALI IN CAPO AI SOCI: LA CASSAZIONE SPECIFICA E SALVA IL SISTEMA (N.9672/2018)

SOCIETA’ CANCELLATA E DEBITI FISCALI IN CAPO AI SOCI: LA CASSAZIONE SPECIFICA E SALVA IL SISTEMA (N.9672/2018)

La sorte dei debiti fiscali a seguito di cancellazione della società dal Registro Imprese dal 2003 in poi è sotto la lente di ingrandimento di soci di società (indebitate) estinte e operatori del diritto.

A seguito della riforma organica del diritto societario, il Legislatore nel 2003 (D. Lgs. n.6 del 2003) introduce una modifica al testo dell’articolo 2495 c.c. per effetto del quale la cancellazione delle società dal registro imprese produce un effetto estintivo della stessa.

Si pone quindi subito il problema della sorte dei processi in corso, in cui sia parte una società estinta, nonché dei debiti (e crediti) che ad essa residuano al momento della cancellazione.

Dopo un periodo di incertezza sulla portata retroattiva o meno della norma, conclusosi con l’affermazione della valenza innovativa del “nuovo” articolo 2495 c.c. da parte della Cassazione nel 2010 (sentenze nn.4060, 4061, 4062) e quindi con il chiarimento secondo cui l’effetto estintivo sia destinato ad operare solo per le cancellazioni avvenute dopo il 1 gennaio 2004 (data di entrata in vigore della norma), si approda altresì alla considerazione che la cancellazione per avere efficacia estintiva debba chiaramente essere accompagnata dalla cessazione effettiva dell’attività di impresa, pena la cancellazione della pregressa cancellazione (Cass. n.4826 2010).

Rimangono da gestire a quel punto le conseguenze della cancellazione sui processi in corso e in generale sui debiti della società cancellata.

Intervengono sul punto le Sezioni Unite della Cassazione nel 2013 (sentenza 1670), stabilendo un principio che possiamo considerare un “principio guida”: non si può consentire al debitore di espropriare il creditore di un suo diritto mediante un atto unilaterale, come è la cancellazione volontaria.
Per realizzare questo risultato quindi viene “creato” il fenomeno della successione dei soci e quindi viene affermato il principio per cui i debiti non liquidati della società si trasferiscono ai soci, salvi i limiti della responsabilità indicati nella norma di riferimento, ossia nell’articolo 2495 2 comma c.c. (quanto ricevuto in sede di liquidazione).
Viene quindi ipotizzata una successione dell’ente collettivo sui generis che coinvolge i soci, che diventano successori, con regimi di responsabilità di questi ultimi connessi alla tipologia di società cancellata.
I soci di una società a responsabilità limitata quindi continuano a rispondere limitatamente dei debiti sociali, ma, in caso di cancellazione, la limitazione non è connessa al conferimento, come avviene durante la vita della società, ma è connessa a quanto distribuito in sede di liquidazione.
Il socio di srl quindi è un successore intra vires secondo la Cassazione del 2013, quasi un erede con beneficio di inventario.
Essendo successore, il socio subentra nei giudizi in corso che vedevano parte la società estinta con facoltà di quest’ultimo di opporre la limitazione della propria responsabilità (e questo passaggio crea il dibattito successivo: cosa vuol dire la Cassazione con questa espressione?) e previa valutazione dell’interesse ad agire da parte del creditore per l’ipotesi in cui al socio non sia stato distribuito nulla.
In piena logica giuridica la Cassazione afferma anche che un ente estinto non può essere convenuto in giudizio.
In questo caso l’azione legale va iniziata nei confronti dei “successori”, se però abbiamo ricevuto qualcosa, sembra dire la Cassazione, altrimenti non c’è l’interesse ad agire nei loro confronti da parte del creditore.
Nei processi in corso, continuano le Sezioni Unite della Cassazione, la legittimazione processuale e sostanziale, attiva e passiva si trasferisce automaticamente, ex art.110 cpc ai soci, e quindi sono applicabili le disposizioni di cui agli articoli 299 cpc e seguenti dettati in tema di interruzione e riassunzione del processo nei confronti dei successori a titolo universale (di regola gli eredi della persona fisica).
Questi principi vengono riassunti al punto 6 della sentenza.
Le Sezioni Unite hanno di fatto aperto un vuoto potenzialmente molto dannoso per l’Erario, perché è vero che hanno “salvato” i processi in corso, ma è altrettanto vero che hanno stabilito che l’ente estinto non può essere ex novo chiamato in giudizio. Possono essere chiamati in giudizio i soci “successori”, se però abbiano ricevuto qualcosa in sede di liquidazione (ma su questo punto vedremo oltre come la Cassazione nelle sentenze successive ha cercato di salvare la situazione).
Il legislatore se ne accorge e viene introdotto l’articolo 28 del decreto legislativo n.175/2014 che stabilisce che ai fini degli accertamenti fiscali e della riscossione, gli effetti dell’estinzione vengono rinviati di 5 anni.
La conseguenza è che L’agenzia delle Entrate non si deve curare di motivare l’accertamento notificato agli eredi “successori” sulla base dell’aver costoro ricevuto qualche utilità in sede di liquidazione. Cessano inoltre le problematiche sulla successione nei processi.
La norma è ovviamente irretroattiva.
Abbiamo quindi due situazioni molto diverse, ossia le cancellazioni successive al 1 gennaio 2004, ma precedenti il 13 Dicembre 2014 (entrata in vigore del d. lgs. n.175/2014) e quelle successive al 13 Dicembre 2014.
Partiamo da quelle successive al 13.12.2014.
Non dovrebbe porsi alcun particolare problema.
L’agenzia delle Entrate potrà notificare avvisi di accertamento direttamente alla società estinta e i giudizi in corso potranno continuare senza obbligo alcuno di interruzione e riassunzione. In pratica non è necessario ricorrere ai principi della successione sui generis elaborati dalle Sezioni Unite del 2013.
La pretesa erariale in capo alla società estinta potrà poi essere richiesta ai soci con atto specifico (e impugnabile) in cui dovranno essere motivati i presupposti previsti civilisticamente dall’art.2495 c.c. e in tema di imposte sui redditi dall’art.36 d.p.r. n.602/1973.
I problemi invece si pongono per le cancellazioni eseguite prima del 13.12.2014.
Queste ipotesi devono essere coordinate con il fenomeno successorio stabilito dalle Sezioni Unite 2013.

La giurisprudenza della Cassazione è stata molto oscillante nel valutare queste ipotesi, essendo evidente il peso, sotto il profilo erariale, delle diverse soluzioni applicabili.
Il nodo da risolvere ovviamente si riferisce alle ipotesi (la stragrande maggioranza) in cui i soci non abbiano ricevuto nulla in sede di bilancio finale di liquidazione.
Applicando a rigore le Sezioni Unite in tutti questi casi i processi non avrebbero potuto essere riassunti (o iniziati) nei confronti dei soci per mancanza di legittimazione passiva degli stessi o semmai per mancanza di interesse ad agire da parte dell’amministrazione finanziaria.
Non è un risultato accettabile.

Vediamo come ha risolto il problema l’ultima delle sentenze della Cassazione che se n’è occupata la n.9672 del 2018.

La sentenza distingue due profili:

  • il profilo successorio sotto la visuale della prosecuzione del processo nei confronti dei soci, che viene affermato esistente (la legittimazione passiva) contro impostazioni diverse risultanti dalle pronunce n.23916/2016, n.13259/2015 e n.2444/2017 (lo stesso principio sarebbe applicabile in caso di processo da iniziare)
  • il profilo processuale dell’irrilevanza della presunta carenza di interesse ad agire da parte del Fisco

 

La Cassazione però va oltre specificando la peculiarità del processo tributario all’interno delle regole civilistiche e aprendo uno spiraglio, a parere di chi scrive, per la tenuta del sistema di diritto.

Si distingue infatti la pretesa tributaria fatta valere nei confronti della società estinta, dalla valutazione della responsabilità del socio, spiegando che la seconda è estranea al processo relativo alla valutazione della pretesa tributaria, perché dare ingresso a dette questioni amplierebbe il thema decidendum e violerebbe le regole processuali di divieto di produzioni nuove (quelle collegate alla dimostrazione di inesistenza di distribuzione di attivo).
Questo vuol dire che il fenomeno successorio non intacca la possibilità del socio di far emergere la sua concreta responsabilità, limitandola a quanto effettivamente ricevuto o a quanto ricevuto in violazione del “contratto sociale”.
Se quindi il socio può far emergere la propria limitazione di responsabilità e non è il processo in cui subentra in qualità di “successore” della società estinta la sede opportuna per farlo, rimane evidente che sarà necessario un atto specifico e motivato, come richiesto dall’art. 36 d.p.r. 602/1973 o un atto basato sull’articolo 2495 secondo comma c.c., che la Cassazione dice che deve sussistere per evidenti ragioni di omogeneità, affinché il Fisco contesti al socio la sua responsabilità personale.
Va da sé che la responsabilità dovrà essere motivata sulla base delle norme richiamate e, contro questo atto, motivato e specifico si potrà aprire il contraddittorio tra Agenzia Entrate e socio di società estinta.

In altre parole il fenomeno successorio elaborato dalle Sezioni Unite nel 2013 e successivamente rivisto dalle sezioni semplici da un lato comporta la continuazione dei processi nei confronti dei soci “successori” senza che si debba valutare la legittimazione passiva dei soci o l’interesse ad agire da parte dell’Agenzia delle Entrate, dall’altro non comporta che questi ultimi, per il solo fatto della cancellazione della società dal registro Imprese, diventino illimitatamente responsabili nei confronti del fisco in relazione alla pretesa tributaria accertata nei confronti della società estinta.

In conclusione:
Poter dimostrare una sana gestione nel periodo precedente la cancellazione e l’assenza di percezione di utilità di varia natura nel periodo interessato dall’accertamento (compresa l’assenza di restituzione di finanziamenti che sarebbero postergati), devono essere considerati elementi sufficienti per opporre la limitazione della propria responsabilità da parte dei soci di società estinta e quindi per opporsi all’eventuale atto impositivo emesso nei propri confronti.

Questo profilo probatorio è peraltro coerente con il sistema fallimentare e non può considerarsi eccessivamente oneroso nei confronti di soci, amministratori e liquidatori di società estinte.

Forse siamo all’equilibrio del sistema.
Ce lo si augura.

Avv. Gladys Castellano

Link alla sentenza Cassazione n.9672/2018

 

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