FAKE NEWS: VIOLAZIONE ANTITRUST E DIRITTO DELL’UNIONE

FAKE NEWS: VIOLAZIONE ANTITRUST E DIRITTO DELL’UNIONE

Attenzione a chi parla del diritto dell’Unione

Recentemente mi sono imbattuta in una relazione all’interno di un convegno “webinar” sulle fideiussioni schema ABI, nella quale veniva affermato che in ambito unionale la violazione antitrust sarebbe punibile esclusivamente con il risarcimento del danno, qualora ad invocare tutela fossero i consumatori finali del cartello, quindi soggetti terzi rispetto ai partecipanti all’intesa.

È noto che la questione della nullità delle fideiussioni schema ABI sia ancora dibattuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza, tuttavia è necessario non diffondere falsità, soprattutto in relazione al diritto dell’Unione, che essendo ancora pressoché sconosciuto nel panorama del diritto italiano, presta il fianco a pericolose “fake news”.

Ebbene quindi non corrisponde a verità l’affermazione per cui in ambito unionale la violazione antitrust dia luogo esclusivamente al diritto al risarcimento del danno, qualora ad invocare tutela sia un soggetto terzo rispetto al partecipante l’intesa vietata.

È evidente che la nullità costituisca la fondamentale sanzione per la violazione del divieto stabilito in ambito unione dall’art. 101 del Trattato e che la sanzione comporti essenzialmente l’impossibilità di ottenere la condanna all’adempimento del comportamento oggetto di intesa.

Va da sé quindi che con riguardo ai soggetti partecipanti all’intesa la nullità sia del tutto irrilevante e ciò perché il soggetto che, come si dice in gergo, “scartelli”, non ha in concreto nessuna necessità di far dichiarare la nullità dell’intesa, mentre gli altri partecipanti all’intesa non potrebbero trovare alcuna tutela di detto accordo, in quanto appunto nullo e oltretutto nessun interesse a renderlo noto davanti ad un giudice.

La nullità comminata dal Trattato quindi ha senso di esistere solo con riferimento proprio a quei soggetti, che sono estranei all’intesa, ma ne subiscano gli effetti.

È il caso solitamente del concessionario in esclusiva che si sia impegnato ad effettuare una determinata quantità di acquisti, a fini di rivendita, subendo gli effetti di un cartello o di un’intesa.

Queste infatti sono le ipotesi prese in considerazione dalla Corte di Giustizia.
Costituisce in detto ambito pacifico approdo della Corte di Giustizia sin dagli anni ’70 (quando noi in Italia non sapevamo nemmeno cosa fosse una legge antitrust) che la violazione dell’art. 85 del Trattato (attualmente articolo 101) si rifletta sulla validità dei contratti che siano stati stipulati in attuazione o in dipendenza dell’intesa vietata.
La Corte se n’è occupata in relazione ai contratti di distribuzione in esclusiva conclusi sulla base di un’intesa anticoncorrenziale a monte.
Nella pronuncia C-22/71 si discuteva della validità di un contratto di esclusiva stipulato da una società belga a favore di una società francese, alla cui base stava un accordo anticoncorrenziale concluso tra la società belga con un soggetto produttore terzo (di nazionalità giapponese).
La Corte non dubita che il contratto “a valle” (per intenderci) concluso tra la società belga (partecipante all’accordo vietato) e la società francese (estranea all’accordo) sia colpito dalla nullità e ciò in considerazione del carattere di nullità assoluta dell’accordo anticoncorrenziale (“a monte” per capirci).

Venendo a tempi più recenti il medesimo principio è stato ribadito dalla sentenza C-453/99.
In questa pronuncia ancora una volta la Corte di Giustizia prende in considerazione gli effetti della nullità di un accordo anticoncorrenziale “a monte” sui contratti conclusi tra una società partecipante all’intesa vietata con soggetti terzi (“contratto a valle”).
Nel caso specifico si discuteva della validità di una clausola di un contratto di locazione di un immobile destinato all’attività di pub, che imponeva l’acquisto di una determinata quantità di birra, quale condizione non trattabile del contratto di locazione.
Detta clausola era il frutto di un accordo anticoncorrenziale tra una società produttrice di birra e la società locataria proprietaria di una catena di esercizi commerciali destinati a pub e ristorazione.
La società “terza”, chiamata in esecuzione dell’obbligo di acquisto della birra, eccepiva la violazione della normativa anticoncorrenziale e quindi la nullità di detta pattuizione.
In particolare il contraente “terzo” eccepiva la non debenza di somme non pagate in esecuzione di un obbligo di acquisto nullo e proponeva altresì domanda di risarcimento del danno per quanto invece corrisposto nel passato in esecuzione del predetto obbligo di acquisto.
La Corte quindi risolve la questione, affermando che una parte di un contratto (“a valle”) idoneo a restringere o falsare il gioco della concorrenza possa far valere la violazione della norma anticoncorrenziale al fine di ottenere una tutela giurisdizionale nei confronti della controparte.

Tanto si ritiene basti per far diffidare da affermazione fuorvianti come quelle proposte da alcuni operatori del diritto.
Il risarcimento del danno è una delle tutele concesse al soggetto danneggiato dall’intesa anticoncorrenziale, cui non ha partecipato, ma certamente non l’unica, diversamente la giurisprudenza della Corte di Giustizia che afferma che la nullità anticoncorrenziale è assoluta e non può neppure essere opposta ai terzi non avrebbe alcun senso logico, risultato che ovviamente non si può accettare.

La difesa delle posizioni di parte è certamente legittima, la diffusione di informazioni non veritiere è invece sempre inaccettabile.

Avv. Gladys Castellano
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